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Fandom: JoJo's Bizzarre Adventures

Personaggi: Josuke Higashikata, Shizuka Joestar

Rating: Safe

Wordcount: 1178

Iniziativa: CowT 9 - Settimana 4; Addormentarsi e Sognare

Josuke non era un babysitter. Non lo era mai stato e non aveva intenzione di diventarlo, e sopratutto non aveva intenzione di avere bambini a prescindere, quindi perché sforzarsi?
Non gli piacevano i bambini, erano complicati e non capiva mai di cosa avessero bisogno. Gli piaceva guardarli, gli piaceva giocarci, ma non riusciva minimamente a comunicare con loro. Aveva provato ad imparare guardando ciò che faceva il vecchio, che invece sembrava essere perfetto per trattare con i bambini piccoli (doveva avere anche una certa esperienza, in fondo), ma non riusciva proprio a decifrare quel codice arcano che era il linguaggio tutto tranne che efficiente dei bambini più piccoli.

Quindi, quando Joseph l'aveva incastrato nel dover badare a Shizuka per quella sera, Josuke si era lamentato parecchio. Non che avesse altro da fare o non volesse passare del tempo con la bambina, che gli stava in realtà molto simpatica, ma non poteva davvero passare così tanto tempo da solo con lei. E se avesse avuto fame? O ancora peggio, se avesse dovuto cambiarla?! Josuke non sapeva cambiare un pannolino. E non sapeva preparare le pappe per i bambini. E altre mille cose.
Ma Joseph e Jotaro non avevano voluto ascoltarlo, gli avevano semplicemente smollato Shizuka in braccio e messo la chiave della stanza del vecchio in mano, dicendo che dentro c'era tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno.

Josuke aveva passato tutta la serata nervoso, ma incredibilmente la bambina era stata più tranquilla di quanto pensasse, portando alto l'onore del suo nome. Si lamentava se Josuke la lasciava troppo tempo nella culla da sola, ma era felice di essere portata in giro per la stanza. Josuke giocò con lei tutta la sera, portandola a cavalluccio e usando Crazy Diamond per controllare che non si facesse male. Era stato molto più divertente di quanto il ragazzo aveva pensato.
Soddisfatto delle proprie doti, era riuscito persino a metterla a dormire all'orario giusto, ed ora era felicemente rilassato sul divano, in attesa che Joseph e Jotaro tornassero da qualsiasi commissione stessero facendo (non voleva davvero saperlo, non aveva neanche tentato di indagare).
Era tardi, e ormai si stava per appisolare anche lui sul divano, quando il pianto improvviso e acuto della bambina gli trapanò le orecchie. Josuke scattò in piedi, preoccupato di un possibile attacco di uno stand. C'era qualcuno? Oppure si era fatta male?!

Corse in camera, Crazy Diamond già al suo fianco pronto ad intervenire, e si guardò intorno allarmato. La bambina non era da nessuna parte, e Josuke corse verso la culla, allungando le mani sul materasso e sperando con tutto il cuore che Shizuka fosse ancora lì. Seguì la sua voce, e finalmente riuscì a trovare col tatto la bambina, diventata invisibile per la paura. La prese subito in braccio, ignorando il proprio corpo che lentamente diventava trasparente come lei, a causa dell'influenza del suo stand. Doveva essere spaventata, pensò. Non c'erano segni della presenza di qualcuno, né la bambina sembrava ferita, si agitava nelle sue mani, ma al tatto Josuke non aveva trovato segni di danni sul suo corpo.

" Hey, hey. Hai fatto un brutto sogno, piccola? "

Shizuka pianse più forte, inconsolabile, e Josuke sospirò pesante. Doveva aver avuto un incubo, era stata così tranquilla per tutta la sera, come doveva fare adesso?!
Non sapeva come consolare una bambina né come farla sentire meglio. Corse in salotto e prese alcuni dei suoi giochi, Crazy Diamond tentò di farli suonare e dondolarli davanti al suo volto nel tentativo di attirare la sua attenzione, ma la bimba sembrava non volerne sapere. Continuava a piangere rumorosamente, e Josuke era sempre più disperato. Era piena notte ed erano in un hotel, di questo passo avrebbe svegliato mezzo edificio. Inoltre, non poteva neanche chiedere aiuto alla reception, visto che ora era totalmente invisibile, a causa dello stando della bambina.

Passavano i minuti, ed ogni tentativo di migliorare le cose sembrava un buco nell'acqua. Josuke si buttò sul letto del vecchio, stremato, la bambina ancora in braccio. La poggiò sul proprio petto, e riprese a pensare così forte da essere quasi rumoroso, nel tentativo di capire cosa fare. Crazy Diamond era seduto accanto a lui, lo sguardo preoccupato che rispecchiava il timore di Josuke.

" Insomma, Shizuka, non so che altro fare. Non vuoi mangiare, non vuoi giocare, non vuoi stare a cavalluccio, non vuoi fare il bagnetto, non vuoi guardare i cartoni, non so più cosa fare. Lo so che gli incubi sono brutti, ma devi tornare a dormire, o almeno smettere di piangere. Non possiamo continuare così, gli altri clienti dell'hotel vorranno la nostra testa domani mattina. "

Josuke continuò a parlare, più a se stesso che altro, valutando le possibilità che aveva ad alta voce. Era assorto nei suoi pensieri, e si era ormai così abituato al pianto continuo della bimba che non si accorse del momento in cui esso lentamente scemò fino a scomparire.
Solo dopo qualche minuto abbassò lo sguardo, osservando perplesso la bimba poggiata sul suo petto. Sbatté gli occhi un paio di volte nel vederla ferma e con gli occhi chiusi, le palpebre appena visibili grazie alla crema che Josuke aveva delicatamente spalmato sul suo volto prima di metterla a letto, in modo da riuscire a vederla.

" ... Ha smesso? Da quando ha smesso?! "

Josuke si voltò verso Crazy Diamond, che però sembrava confuso quanto lui. Shizuka sembrava dormire di nuovo serenamente, si muoveva su e giù sul petto di Josuke, cullata dal suo respiro, le manine chiuse delicatamente intorno al tessuto della sua maglia. Josuke avrebbe voluto alzarsi e tornare sul divano, ma dopo la fatica che ci era voluta per farla riaddormentare non aveva alcuna intenzione di rischiare di svegliarla.
Rimase fermo immobile, non osando fare alcun movimento, e molto presto la stanchezza gli piombò di nuovo addosso, ora che la crisi era passata. Chiuse gli occhi, sospirando appena, e ancora prima di accorgersene cadde in un sonno pesante, un braccio circondato intorno alla bambina e l'altro sulle lenzuola.

---

Joseph aprì la porta della propria stanza, sbadigliando rumorosamente.

" Chissà se quei due sono ancora vivi. "

Commentò a Jotaro, che lo seguì silenziosamente dentro la stanza. Jotaro rise appena appena, per poi sedersi sul divano, mentre Joseph si guardava attorno. Vide Josuke e la bambina stesi nel letto, entrambi pesantemente addormentati, Josuke che la abbracciava e la bambina che stringeva la sua maglia, tenendosi aggrappata. Joseph sorrise dolcemente, conservando silenziosamente l'immagine del ragazzo che cercava sempre di fare il gradasso addormentato con una bambina sul petto. Quel ragazzo era speciale, e Joseph si sentiva in colpa per averlo scoperto così tardi. Ora, però, il minimo che poteva fare era lasciarlo dormire serenamente.
Si voltò verso Jotaro, poggiandosi un dito sulle labbra per fargli segno di non fare rumore.

" Credo che dormirò in stanza con te, per stanotte. "

Jotaro allargò un lieve sorriso, nascondendolo in uno sbuffo, e si alzò di nuovo da divano, pronto ad uscire insieme a lui.

" Ti ammorbidisci sempre di più, vecchio. "

" Ho i miei buoni motivi per farlo. "
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Fandom: JoJo's Bizzarre Adventures

Personaggi: Jolyne Cujoh

Rating: Safe

Wordcount: 918

Iniziativa: CowT 9 - Settimana 4; Addormentarsi e Sognare 

Dicevano che la prima notte in prigione fosse la più difficile. Dicevano che nessuno dormiva davvero, la prima notte, perché il mondo era improvvisamente diventato piccolo ed ostile, e chi non conosceva quella realtà si ritrovava catapultato in un posto dove chi non sa come muoversi non sopravvive.
Jolyne non era preoccupata. Forse perché non era esattamente la sua prima notte, solo la prima da dopo la condanna. O forse perché era troppo impegnata ad essere arrabbiata e ferita e a meditare almeno 500 piani diversi di vendetta per potersi soffermare su quanto miserabile e spaventosa fosse la sua situazione.

Era stesa sul suo letto, la schiena che già si lamentava a causa del materasso sottile che la faceva toccare contro le molle scomode e quasi dolorose della rete, le lenzuola rigide e per nulla utili a tenerle caldo che la coprivano in modo più fastidioso di quanto aveva immaginato quando le aveva tirate su. guardava il soffitto scuro, senza realmente riuscire a vederlo a causa della luce inesistente. C'era qualche fonte di luce fuori, nel corridoio, ma erano talmente fioche che non servivano ad altro se non a dare fastidio a chi cercava di dormire (ma non a lei, quindi non era un suo problema).
Sospirò silenziosamente, cercando di rigirare nella propria testa tutti i pensieri e i ricordi di quella giornata. Dopo tanto tempo passato a cercare di difendere la sua innocenza, aveva finalmente ceduto e ammesso di essere colpevole, solo per poter avere uno sconto di pena. Era giovane, aveva ancora davanti i suoi anni migliori, e non aveva intenzione di spenderli in prigione a causa di uno stronzo che l'aveva incastrata per un crimine che non aveva neanche lontanamente commesso. Ma alla fine dei conti, il suddetto stronzo aveva semplicemente trovato un modo per incastrarla ancora peggio di prima, e ora Jolyne si ritrovava una condanna di 15 anni per le mani, senza poter fare nulla a riguardo. Era furiosa, il suo corpo tremava di collera ogni volta che ripensava a quella mattina, alla sentenza totalmente priva di senso che aveva subito e a quel maledetto avvocato che non aveva fatto altro che fare gli interessi dello stronzo. Erano tutti un branco di stronzi, e ormai Jolyne era sicura che non esistesse al mondo un solo uomo di cui potersi fidare. Il padre si faceva vedere così raramente che Jolyne faceva fatica a ricordare il suo volto, il suo ragazzo l'aveva incastrata, l'avvocato non aveva alcun interesse per lei, ma solo per i soldi che avrebbe ricevuto dopo averla venduta in quel modo. Jolyne si sentiva tradita ed usata da ogni singolo uomo avesse mai conosciuto, quello stronzo della guardia che ò'aveva vista qualche sera prima compreso.

Ringhiò silenziosamente, agitandosi nel letto. Avrebbe voluto prenderli a pugni uno per uno, magari strozzarli con quello strano filo che aveva evocato senza rendersene conto quella mattina. Ancora non sapeva cosa fosse, ma almeno sembrava utile per difendersi in carcere, il che non faceva altro che tornargli comodo. Ergo, aveva deciso di accantonare quel problema.

La realtà era che tutto ciò che Jolyne avrebbe voluto era addormentarsi e avere gli incubi come ogni persona normale al loro primo giorno in un carcere. Voleva svegliarsi il mattino dopo madida di sudore e con gli occhi gonfi di lacrime, sentirsi come se qualcuno l'avesse derubata della parte migliore della sua vita, che era poi effettivamente ciò che era successo. Voleva sentirsi una persona normale, che passa la notte a pensare alle brutte cose che dovrà vivere per i prossimi anni, e viene attaccata nei sogni da tutti i mostri che si è immaginata.
Per una volta, Jolyne voleva reagire come una persona normale. Ma non era così.
Era arrabbiata, non spaventata. E tutto ciò a cui riusciva a pensare era trovare un modo per vivere bene dentro quel carcere, anche prendendo a pugni qualcuno se necessario. Si era sempre adattata fin troppo in fretta e troppo facilmente alle situazioni, anche quando nessuna persona normale avrebbe dovuto. Forse, a conti fatti, in questo caso era un vantaggio. Ma in fondo al suo cuore, Jolyne avrebbe solamente voluto un attimo di calma. Smettere di pensare continuamente, e soprattutto smettere di combattere contro qualsiasi cosa gli si parasse davanti. Sua madre le aveva sempre detto che era una guerriera nata, che aveva preso tutti i geni degli uomini Joestar. Jolyne non conosceva la famiglia Joestar, il padre non si faceva mai vedere e la madre conosceva il resto dei parenti solo di nome.
A Jolyne non piaceva l'idea di essere come loro. Erano figure lontane, e per quanto lei avesse smesso, in fondo al suo cuore, di essere arrabbiata, rimaneva il fatto che stava molto meglio senza saperne nulla.
Anche se, in fondo, sarebbe stato bello conoscerli. Conoscere le loro avventure. Scoprire se era vero che erano guerrieri nati che attiravano avventure incredibili, come la madre le aveva raccontato.
Jolyne affondò la testa nel cuscino e serrò gli occhi, nel tentativo di inseguire il sonno che sembrava non arrivare. Si concentrò su quello che avrebbe potuto fare a tutti gli stronzi che l'avevano abbandonata e ferita e maltrattata, se fosse stata davvero una guerriera.

Jolyne era diversa da tutti gli altri. Non furono incubi pregni della paura del futuro in quel carcere a colorare il suo sonno, quella sera. Furono immagini colorate, lontane e nitide allo stesso tempo, di poteri incredibili, nemici spaventosi, e avventure in giro per il mondo.
Forse, in fondo, era vero. Il sangue dei Joestar non mentiva mai.
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 Fandom: JoJo's Bizzarre Adventures

Personaggi: Leone Abbacchio

Rating: Safe

Wordcount: 1004

Iniziativa: CowT 9 - Settimana 4; Cadere e farsi male


Il mondo non era altro che un ammasso di colori distorti. La realtà stessa sembrava piegarsi su se stessa, autodistruggersi e implodere davanti ai suoi occhi, lasciandolo da solo in uno spazio fatto di nulla, di vuoto e freddo, di nero, di dolore e assenza totale di senso.
Abbacchio non riusciva più a vedere il mondo nel verso giusto. Tutto quanto si accavallava, tutto ruotava, spazio e tempo si fondevano. Nulla aveva senso. Lasciava che la vita lo trascinasse in avanti, in quel mondo fatto di frammenti, di assenza di colori.
Dopo ciò che era successo al suo collega, dopo la deriva che aveva preso la sua vita senza che lui potesse accorgersene, aveva deciso semplicemente di lasciar tutto andare. Aveva lasciato la presa sulla propria vita, ed ora si adattava a quel mondo fatto di assenza di senso, limitandosi ad aspettare che la sua vita si interrompesse, un giorno, senza un come e senza un perché. Abbacchio non sapeva quando era caduto così in basso. Una volta aveva camminato a testa alta sul sentiero che era la vita, seguendo la sua strada e guardando gli altri percorrere la propria, contendo e orgoglioso di ciò che sarebbe stato il suo futuro. Un tempo, quel sentiero era stato lì, sotto i suoi piedi, si distendeva davanti a lui, e nonostante gli ostacoli e le curve l'orizzonte era sempre davanti ai suoi occhi. Poi era cominciata quella spirale fatta di dubbio e frustrazione, e Leone aveva provato ad arrancare lungo al sua strada, l'orizzonte sempre più sbiadito. Aveva provato a continuare, ma tutto era diventato difficile, e senza più l'orizzonte a guidarlo, aveva perso ogni speranza.

Non sapeva, quando era caduto. Non sapeva quale fosse stato l'istante in cui aveva cozzato contro la strada che era la sua vita e si era ferito così profondamente e dolorosamente da perdere l'orientamento. Non sapeva come fosse successo, non sapeva neanche come fare a rialzarsi. Era caduto a terra e si era fatto male ed il mondo era collassato su se stesso. E tutto aveva perso significato.
Leone non aveva più alcun interesse, per quella vita. Sapeva, sperava che un giorno sarebbe finita, e finalmente avrebbe semplicemente potuto morire in pace, senza vedere quell'ammasso immondo attorno a sé, senza sentire il peso del proprio fallimento sulle spalle ad ogni passo. Non sapeva neanche quanto tempo fosse passato. Aveva smesso di contare i giorni da molto tempo, e non si interessava a giornali o qualsiasi cosa che lo collegasse al mondo esterno. Viveva come un relitto, lasciandosi trasportare. Non sapeva neanche se fosse notte o giorno.

L'unica cosa che sapeva era che il campanello di casa sua aveva suonato per la prima volta in... non sapeva quanto tempo. Così, aveva lasciato giù la bottiglia di liquore e si era trascinato verso la porta. Non era realmente interessato a . sapere chi ci fosse dall'altra parte, ma le convenzioni sociali volevano che lui aprisse la porta a chi suonava, e Leone non aveva la forza di mettersi contro quelle leggi.
Fu in quel momento, che tutto cambiò. Nel momento in cui Leone alzò lo sguardo sulla persona davanti a lui, quell'uomo distinto dallo sguardo attento e deciso, che lo guardava in silenzio. Leone non aveva mai visto qualcuno come lui. La determinazione che illuminava i suoi occhi era abbastanza forte da fargli sollevare lo sguardo da terra, per poterlo vedere meglio.
Per un solo istante, Leone dimenticò il tumulto privo di senso che era la sua vita e si concentrò su quell'uomo, aspettando quasi con impazienza le sue parole.

" Leone Abbacchio, giusto? Voglio che tu entri nella mia squadra. Qua non hai nulla, io posso darti di nuovo un motivo per vivere. "

Leone non sapeva come quell'uomo potesse vedere così chiaramente dentro di lui. Le persone avevano cercato di aiutarlo, ma nessuno aveva capito ciò che provava. Non era dolore, non era senso di colpa, non era neanche il fallimento. Era il modo in cui il suo mondo era crollato attorno a lui, perdendo ogni senso, perdendo ogni direzione. Ed ora, quell'uomo lo guardava e gli offriva una nuova direzione. E Leone non aveva alcun interesse a sentire altro. Perché per qualche ragione, sentiva di non avere bisogno di altro. Se quell'uomo poteva di nuovo dare senso alla sua vita, non importava quale esso fosse. Tutto ciò che importava era quella promessa.

Quando qualcuno chiedeva ad Abbacchio come mai avesse deciso di seguire Bucciarati, l'uomo non rispondeva. Perché nessuno poteva davvero capire le sue motivazioni. Nessuno poteva capire il peso di ciò che Bucciarati gli aveva offerto, quel giorno, sotto la pioggia battente.
Abbacchio annaspava nel mare come un naufrago, solo e senza più una direzione. Bucciarati era stato la sua ancora di salvezza, la forza della natura che lo aveva trascinato di nuovo a riva, permettendogli di tornare a camminare sulla sua strada. E non importava se era una strada diversa. Non importava se la morale che un tempo aveva seguito quasi con riverenza era andata persa da qualche parte durante la tempesta. Tutto ciò che Abbacchio sapeva era che era caduto e aveva perso la strada, si era ferito e non aveva più trovato un modo per guarire.
Poi Bucciarati era arrivato e gli aveva teso una mano, aiutandolo a rialzarsi. Abbacchio non aveva più bisogno di vedere l'orizzonte. Il suo percorso non si stagliava più davanti a lui, lungo e prevedibile e programmato. Ma non ne aveva più bisogno. Non aveva bisogno di un senso da seguire, né di trovare il proprio posto. Aveva perso tutto quando era caduto, ma non aveva più bisogno di nulla.
Non importava se non poteva vedere l'orizzonte, perché aveva finalmente trovato la forza di riprendere a camminare. Ed ora, davanti a lui si stagliava la figura alta e snella di Bucciarati, e Abbacchio non aveva bisogno di altro se non della forza di camminare e seguire le sue ombre. Non aveva più bisogno di una direzione, non aveva più bisogno di un orizzonte.
Ora, Bruno Bucciarati era il suo orizzonte.
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Fandom: JoJo's Bizzarre Adventures

Personaggi: Toshikazu Hazamada, Josuke Higashikata

Rating: Safe

Wordcount: 1108

Iniziativa: CowT 9 - Settimana 4; Cadere e farsi male

" Allora Josuke, mi puoi aiutare sì o no?! "

Josuke sbuffò rumorosamente, guardando Hazamada con aria poco convinta. Il ragazzo era spaventato a morte, visto ciò che era successo l'ultima volta che aveva avuto a che fare con Higashikata, ma non poteva fare altro. Aveva le mani grondanti di sangue a causa della botta che aveva preso cadendo dalla sedia, il naso gli faceva malissimo, ma se fosse andato in infermeria gli avrebbero chiesto cosa era successo, e... Non era mai stato bravo a mentire, insomma... Beh, aveva i suoi buoni motivi per non andarci. Quindi, l'unica opzione che gli rimaneva era Higashikata e il suo Crazy Diamond. Sapeva che non sarebbe stato facile convincerlo, ma sperava nel buon cuore del ragazzo. Evidentemente, aveva riposto le sue speranze nella persona sbagliata.

" E perché dovrei aiutarti, esattamente?! Come diavolo hai fatto romperti il naso, uh?! Stavi cercando di rubare qualcosa dal laboratorio di fotografia?! O stavi pedinando una delle ragazze più grandi e ti sei preso un pugno sul naso? "

Josuke non sembrava affatto preoccupato del sangue che gli sporcava le dita, anzi, sembrava quasi divertito. Hazamada borbottò a bassa voce, cercando disperatamente un fazzoletto nella giacca, ma finendo solo per sporcarsi di sangue la divisa. Accidenti, le cose stavano andando sempre peggio. Meno male che era scura, almeno.

" Per favore! Non ti chiedo mai nulla, fammi solo questo favore! Senti, non voglio dire cosa è successo, okay?! Altrimenti sarei andato in infermeria. Ma non posso! Aiutami! "

Si lamentò ancora, la voce resa più nasale dal sangue che gli tappava le narici. Josuke incrociò le braccia, e assunse un'aria particolarmente pensierosa. Alzò una mano ad aggiustarsi i capelli, per poi guardarlo di nuovo. Sembrava aver preso una decisione, così Hazamada si avvicinò di un passo, speranzoso.

" E va bene, e va bene. Ma devi comprarmi il pranzo per i prossimi due mesi. "

Hazamada spalancò gli occhi.

" Cosa?! Josuke dove diavolo li trovo i soldi per pagare il pranzo doppio per due mesi?! Dovrò saltarlo io! "

Josuke sbuffò.

" Beh, ti farebbe bene perdere qualche kilo. "

Commentò con un sorrisino. Hazamada ringhiò a bassa voce, mentre cercava di tamponare con il fazzoletto che era finalmente riuscito a trovare. Come era possibile che uno stand in grado di aiutare gli altri come Crazy Diamond fosse capitato proprio ad una persona egoista come Josuke?!

" Non dire stronzate! Lo sai che non posso non mangiare pranzo per due mesi! Andiamo, chiedimi qualcosa di più fattibile, per favore! "

" Beh, te l'ho detto. Se mi dici cosa è successo, magari ci penserò. "

Hazamada lo guardò ancora, spaventato. Non poteva dirglielo! Era imbarazzante! Dubitava, però, che quella motivazione potesse essere accettabile per Josuke. Era praticamente obbligato a dirglielo, ora. Insomma, non poteva andare a casa con il naso rotto, e non poteva andare in infermeria, e da solo non sarebbe di certo riuscito a nascondere i segni della botta che aveva preso.
Arrossì violentemente, e si voltò di colpo dall'altra parte, dando le spalle a Josuke. Non riusciva a guardarlo in faccia.

" E va bene! Va bene, smettila! Te lo dirò. Ma devi giurare di non dirlo a nessuno! "

" Okay, okay. Non ti agitare. Prometto. "

Hazamada sospirò pesantemente, la mano che ancora premeva il fazzoletto.

" Allora... Hai presente la palestra, no? Ecco, ho scoperto che.... Devi sapere che nel bagno maschile c'è una piccola finestrella, in alto. nell'ultima cabina in fondo. È una finestrella di servizio, che da sullo spogliatoio femminile, subito di fianco. Un ragazzo di terza mi ha detto che da lì si potevano vedere le ragazze che si spogliavano per andare in palestra, così ho deciso di provare a vedere se era vero. Ho aspettato che tutti uscissero dal bagno, poi ho preso una sedia e mi ci sono messo in piedi sopra. Però non bastava, perché la finestrella è in alto, così sono andato nell'aula vicino, che era vuota, e ho preso un'altra sedia. L'ho messa sopra la prima, e finalmente sono riuscito ad essere abbastanza in alto. E... Insomma, il punto è che non sono proprio un ingegnere. Ero concentrato a guardare le ragazze, e non mi sono accorto che il piede della sedia di sopra stava scivolando. La sedia è caduta e io sono caduto con lei, e ho battuto il naso contro lo stipite della porta. "

Raccontò velocemente il ragazzo. Alla fine, rimase in silenzio qualche secondo, aspettando una reazione. Che ovviamente non tardò ad arrivare.
Josuke scoppiò a ridere, divertito, e continuò per parecchi secondi. Hazamada si girò verso di lui, rosso in volto.

" Smettila di ridere! Non è divertente! "

Si lamentò, cercando di nascondere di nuovo il suo imbarazzo. Josuke, però, era impietoso.

" Sì che è divertente! E non solo, te lo meriti anche. Così impari a cercare di spiare le ragazze. Possibile che non hai ancora capito che è una pessima idea e che soprattutto non è per nulla giusto nei loro confronti! "

" Ma non volevo fare nulla di male! Ero solo curioso! "

Josuke lo guardò male, e Hazamada si fece ancora più piccolo del normale quando Crazy Diamond uscì al suo fianco, l'espressione sul suo volto ancora più minacciosa di quella del suo portatore.

" Se vengo a scoprire che hai fatto di nuovo qualcosa di simile, vengo a romperti il naso personalmente. E forse non solo quello. Sono stato abbastanza chiaro? "

Hazamada mugolò appena, ma annuì velocemente con la testa. Crazy Diamond si fece avanti, e lui tolse il fazzoletto davanti alla faccia, e chiusi gli occhi, forte, sperando nella buona volontà di Josuke. Non che si fidasse particolarmente.
Pochi secondi, e Josuke lasciò un verso soddisfatto.

" Ecco fatto. "

Hazamada riaprì gli occhi, e si tocco il naso, di nuovo integro e soprattutto non sporco ovunque di sangue. C'era qualche rimasuglio di quello di prima, ma almeno aveva smesso di uscire.

" Grazie Josuke! Grazie! "

Josuke sbuffò appena e incrociò le braccia.

" Te l'ho detto. Niente più trovate come questa. Sono stato chiaro? "

"Sì, certo! Allora, cosa... Cosa vuoi in cambio? "

Josuke si voltò, per poi dirigersi verso la porta senza dire nulla.

" Tu fai il bravo, e io sarò a posto così. "

Disse solo, alla fine. Hazamada allargò un sorrisone, per poi annuire ancora una volta. Alla fine, Josuke non era poi così male. Faceva sempre lo spaccone, ma alla fine aiutava sempre gli altri.
O almeno, quasi sempre.
Di certo, Hazamada non aveva alcuna intenzione di scoprire cosa sarebbe successo se non avesse mantenuto la parola data.
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Fandom: JoJo's Bizzarre Adventures

Personaggi:
Joseph Joestar

Rating:
Safe

Wordcount: 810

Iniziativa: CowT 9 - Settimana 4; Addormentarsi e Sognare

Gran parte del tempo, Joseph era felice. Era in quella città nuova, con persone interessanti e mediamente gentili, aveva potuto conoscere Josuke, e ora poteva occuparsi di Shizuka, la piccola bambina invisibile che avevano trovato. Era un ottimo modo, per passare la sua vecchiaia. O almeno parte di essa.
Gran parte del tempo, Joseph si sentiva sereno e senza troppi pensieri. Doveva solo badare alla bambina e aiutare Jotaro e Josuke quando i due ne avevano bisogno. Ogni tanto andava al centro commerciale con il figlio, e passeggiavano insieme per tutto il pomeriggio, e Joseph non poteva chiedere di meglio. Era un ragazzo sveglio, pieno di risorse proprio come Joseph era stato alla sua età. Ed aveva un buon cuore, sempre pronto ad aiutare i suoi amici ma anche le persone che conosceva a malapena, sempre pronto a vendicare ingiustizie e soprusi anche se non lo riguardavano. Certo, non era un santo, sembrava essere abbastanza incline a farsi strada nella vita con la sua astuzia, a volte anche con mezzi forse un poco sleali, ma chi era Joseph per lamentarsi? In fondo, lui aveva fatto la stessa identica cosa per anni.

Gran parte del tempo tutto andava bene, ma a volte, Joseph sentiva il peso degli anni addosso, sentiva la memoria tradirlo, il corpo cedere e stancarsi, le persone attorno a lui irritarsi silenziosamente a causa dei suoi sbagli. Ed era difficile, perché Joseph Joestar era stato una persona intelligente ed orgogliosa, e vedere la propria stessa rovina era quasi insopportabile. Così, a volte, Joseph scappava. Come aveva imparato a fare tanti anni prima, fuggiva da ciò che non poteva cambiare per trovare un nuovo punto di vista. Ma era difficile sfuggire a se stessi.
Così, aveva dovuto ingegnarsi.
Aveva imparato a dormire. Ovunque, in qualsiasi momento, lasciar andare la propria mente estraniarsi dalla realtà, cadendo in un sonno leggero ma pieno di immagini lontane. A volte era la sua piccola Holy, dolce e sorridente fin da bambina, erano i pomeriggi passati a tenerla sulle spalle e correre nei prati, le ore passate a giocare e fingere di lasciarsi sconfiggere dalla coraggiosa bambina. A volte era la sua amata nonna Erina, il sorriso gentile di quella donna che aveva plasmato la sua infanzia e l'aveva reso la persona che era, colei che fino alla fine gli era stata accanto. A volte erano i primi anni con la allegra e bellissima Suzie, la moglie che l'aveva accompagnato per tutta la vita.
A volte, invece, la sua mente correva ancora più lontano, nel profondo di ciò che aveva cercato di dimenticare e nascondere per gran parte della sua vita. Correva e correva, attraverso campi ed attraverso fiumi e attraverso gli anni, fino a trovare la figura giovane e lumino di Caesar, colui che la vita gli aveva strappato troppo presto, colui che sempre era rimasto nel cuore di Joseph, nascosto a tutti e tutto. Quasi nessuno sapeva di Caesar. Joseph non ne parlava mai. Aveva conservato i pochi ricordi che avevano condiviso, sepolti nel fondo del suo cuore, una musica di sottofondo che aveva accompagnato tutta la sua vita.
Ora quella sua vita volgeva al termine, e Joseph amava scavare così a fondo nella propria mente, trovando quel tempo così remoto eppure così vivido nei suoi ricordi. Gli allenamenti assieme, le intere nottate passate a parlare, i piccoli baci che Caesar poggiava sulla sua maschera per la respirazione e di cui Joseph si lamentava perennemente, ricevendo solo delle risate divertite in risposta.

Joseph si lasciava cullare da quei ricordi, lasciava che la mano di Caesar stringesse la sua e lo trascinasse lontano, in quel mondo che era solo loro, quell'angolo della mente in cui Joseph non aveva mai fatto entrare nessun altro.
Erano solo sogni, Joseph lo sapeva. Ma alla sua età, dopo che così tante avventure erano passate e fuggite via, dopo che la vita gli aveva dato così tanto e tolto così tanto, a Joseph non rimanevano che i sogni. Il suo corpo non gli permetteva nuove avventure, la sua mente non gli permetteva di seguire con la necessaria attenzione quelle di suo figlio e suo nipote. Così gli rimaneva quello, quell'angolo di sogno fatto dai ricordi, dalle speranze, e dai dolori che erano stati la sua vita.
Poteva sembrare poco, e poteva sembrare triste, ma Joseph si sentiva in pace. Aveva vissuto a lungo e a lungo aveva potuto continuare le sue avventure, e se pochi anni prima era stato il primo a non riuscire a rinunciare alla sua giovinezza, ora voleva solamente vivere i suoi ultimi anni in serenità, con le persone a cui voleva bene. E se ogni tanto la realtà diventava troppo pesante, il mondo dei sogni era sempre disposto ad accoglierlo. Forse, un giorno, si sarebbe semplicemente lasciato andare, e avrebbe accompagnato Caesar e tutti gli altri nel loro ritorno in quel mondo senza tempo.

Coming home

Mar. 9th, 2019 12:12 pm
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Fandom: JoJo's Bizzarre Adventures

Personaggi: Tomoko Higashikata, Joseph Joestar, Josuke Higashikata

Rating: Safe

Wordcount: 945

Iniziativa: CowT 9 - Settimana 4; Addormentarsi e sognare



Quando Josuke le aveva detto che aveva una sorpresa per lei, Tomoko si era sentita parecchio curiosa. Il figlio difficilmente le faceva delle sorprese, e spesso se ci provava finiva per combinare qualche guaio (che era poi il motivo per cui aveva smesso di farle). Quando poi le aveva detto che avrebbe potuto comunque andarsene quando voleva e non aveva alcun obbligo, si era preoccupata. Che cosa stava cercando di dirle? Cosa intendeva?

Era quello il motivo per cui, mentre aspettava in salotto, si sentiva così nervosa. Josuke le aveva sorriso, dicendole che non era successo nulla di male, ma quel ragazzo era sempre così imprevedibile. Era un bravo ragazzo, il suo amato figlio, ma ogni tanto era così testardo e così impulsivo che finiva per combinare guai nei momenti peggiori. Tomoko sospirò pesantemente, stropicciandosi le mani mentre aspettava che il figlio tornasse con la sua... Sorpresa.
Aveva pensato a mille possibilità, e ancora non era sicura di cosa potersi davvero aspettare. Aveva messo incinta qualche ragazza?! No, Josuke aveva paura dei bambini, non sarebbe stato così calmo se si fosse trattato di quello. Sembrava contento, invece. Quindi doveva essere qualcosa di bello. Ma quella preoccupazione per la sua reazione, quell'apprensione mal nascosta nei suoi occhi, era quello che la faceva impensierire. Beh, alla fine dei conti, non poteva fare altro che fidarsi di suo figlio.

Passò quella che a lei sembrò un'eternità, ma che in realtà doveva corrispondere giusto a qualche minuto. Josuke riaprì lentamente la porta di casa, e parlò a bassa voce con qualcuno. Tomoko si alzò di scatto dal divano, non aspettandosi che ci potesse essere qualcun altro, e sfoderò il suo sorriso più cordiale. Accidenti a Josuke, se avesse saputo che doveva portare qualcuno in casa avrebbe almeno riordinato il salotto, ma quel ragazzo faceva sempre tutto di testa sua e senza avvisarla per tempo.


Quando finalmente riuscì a vedere la persona che Josuke stava lentamente accompagnando all'interno della casa, l'aria si bloccò nei suoi polmoni. Tomoko guardò quell'uomo, le labbra semiaperte e ogni parola bloccata in gola. Si strinse le mani una con l'altra, cercando di parlare, ma nessun suono sembrava voler uscire. Fu Josuke ad intervenire, a quel punto.

" Non so se lo riconosci o cosa, immagino di sì, ma, ecco... Lui è Joseph. È venuto qui per... affari... e ha voluto conoscermi. Ho pensato che volessi rivederlo anche tu, e... Non sei obbligata a rimanere però, se non vuoi parlargli o... "

Tomoko ancora non sapeva cosa fare. Così lasciò che l'istinto prendesse le decisioni per lei, e attraversò la stanza, avvicinandosi a Joseph. Senza dire nulla aprì le braccia e lo abbracciò con forza, gettandosi forse con troppo entusiasmo su di lui, perché lo sentì barcollare appena sotto il suo peso.

" Tomoko... È un piacere vederti. "

Disse Joseph, con tono gentile, abbracciandola delicatamente. La sua voce era più sottile, meno profonda, provata dal tempo come tutto il suo corpo. Tomoko lo lasciò andare e si allontanò di un passo, per guardarlo attentamente. Era invecchiato parecchio, Joseph. Ma a lei non importava. Nei suoi occhi vedeva ancora quell'uomo brillante e gentile di cui si era perdutamente innamorata tanti anni prima, il padre del suo amato figlio, la persona che l'aveva fatta soffrire così tanto, eppure non aveva mai potuto allontanare dal suo cuore. Era incredibile, poterlo rivedere dopo così tanti anni. Tomoko aveva paura che potesse essere tutto un sogno. Doveva essersi addormentata, e quello era solo uno degli altri molti sogni che aveva fatto su quell'uomo.

Eppure, non era come i suoi sogni. In fondo, Joseph non era più l'uomo alto e forte che aveva conosciuto e che aveva sempre sognato, era provato dall'età, l'aria sempre carica di forza ed orgoglio sostituita da un'espressine dolce e serena, la sua mano ancora poggiata sul braccio di Josuke, che lo stava aiutando a sorreggersi. Tomoko si prese un secondo per guardare quella scena, suo figlio che sorreggeva con un braccio il padre che non aveva mai conosciuto, e che lei aveva tanto desiderato che potesse incontrare. Erano così simili, in fondo. Ora, vedendoli uno di fianco all'altro, Tomoko riusciva a vedere quanto il colore e la luce nei loro occhi fosse quasi uguale, come aveva detto tante volte a Josuke durante gli anni.

" Io... ciao, Joseph. Venite... venite dentro. Siediti, forza. "

Tomoko li accompagnò in casa, cercando di nascondere le mani che tremavano e la voce debole, provata dall'emozione. Quella scena, tutti e tre dentro la sua casa, Josuke che aiutava delicatamente Joseph a sedersi sul divano, quello era tutto ciò che lei aveva sempre desiderato, e anche di più.
Aspettò che Joseph fosse comodo, per poi guardarlo ancora. Stava cercando lentamente di riprendersi, e si ricordò in quel momento che c'era qualcosa di estremamente importante che doveva fare. Voleva parlare con Joseph, voleva sapere di lui, tornare a quel tempo in cui avevano passato giornate intere a parlare assieme, ma c'era qualcosa di assoluta importanza che aveva la priorità su tutto. Tomoko si piazzò davanti a Joseph, seduto sul divano, e lo guardò con un sorriso delicato.

" Joseph? "

L'uomo alzò lo sguardo su di lei, e sorride delicatamente, appoggiò entrambe le mani alle proprie ginocchia, e inclinò appena appena la testa di lato.

" Dimmi, Tomoko. "

Lei sorrise ancora, e poi, senza preavviso, alzò una mano, mollando un sono ceffone sulla guancia di Joseph.
Josuke, che stava andando i cucina a prendere da bere, si voltò di scatto sentendo il rumore dello schiaffo. Joseph si tenne la guancia con una mano, senza riuscire a nascondere la sorpresa.
Tomoko, invece, si sentiva estremamente soddisfatta. Sospirò di sollievo, e incrociò le braccia, un sorriso più disteso sul volto.

" ... Me lo meritavo. "

Commentò solo Joseph, per poi ridere a bassa voce. Tomoko rise piano a sua volta, e vide Josuke tornare in cucina scuotendo lentamente la testa.

" Sì, te lo meritavi. Ma ora, raccontami tutto. È un sogno averti qui. "

Riprese lei, sedendosi tranquillamente al suo fianco, e allungando un braccio per circondare le sue spalle. Joseph sorrise, e annuì lentamente.

" Mi dispiace. "

Disse a bassa voce, abbassando appena la testa. Tomoko sorrise appena, e scosse la testa un paio di volte.

" Lo so. Ora dimmi, cos'hai fatto di bello in questi anni? "

" Oh, fin troppe cose, mia cara... "

Tomoko si mise a chiacchierare con lui, lasciando che il tempo scivolasse via. Era tutto troppo limpido, per essere un sogno. Era tutto troppo vero, tangibile, un'eco di una vita che non aveva avuto, ma che aveva tanto desiderato. Ed era tutto molto, molto più bello di qualsiasi sogno lei avesse mai fatto.

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