Mar. 27th, 2019

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Fandom: JoJo's Bizzarre Adventures
Rating: NSFW
Wordcount: 1660
Iniziativa: CowT 9

Vita e morte, inizio e fine, Il Mondo è la carta che rappresenta l'unità circolare delle cose, l'essenza stessa della realtà che unisce tutto.
Dio non poteva che essere soddisfatto dallo stand che aveva ricevuto una volta svegliatosi dal suo lungo sonno. The World era lo stand definitivo, con il potere di stringere tra le mani il tempo stesso e controllarlo a proprio piacere. Era la risorsa migliore che avrebbe mai potuto aspettarsi. Per tanti anni aveva cercato il potere, quello puro e reale, ciò che lo avrebbe elevato oltre l'umanità stessa, e finalmente ci era riuscito.

Dio si leccò le labbra, la lingua sottile che ne disegnava lentamente il contorno sottile e perfettamente disegnato, mentre i suoi occhi rimanevano fermi sul proprio stand, silenziosamente in piedi davanti a lui. The World era sempre estremamente silenzioso, ma Dio sapeva quanto attentamente osservasse tutto ciò che lo circondava. Ed ora, voleva la sua più totale attenzione. Doveva essere lui, ciò che guardava.

Gli occhi dello stand rimanevano fissi sul corpo nudo del suo user, così come Dio gli imponeva. Non che The World si ribellasse, in fondo. Nessuno poteva ribellarsi a lui, men che meno il proprio stesso stand.
Dio allargò un lieve sorriso soddisfatto, per poi Inclinare appena la testa di lato, gli occhi fissi su The World. Passò un dito sulle proprie labbra, seguendo lentamente il contorno con la punta del ito, per poi scivolare più in basso, lungo il mento, e ancora più giù fino a toccare con le dita la cicatrice che lo univa al corpo di Jonathan Joestar. Oh, per quanto aveva desiderato quel corpo. Quanto aveva desiderato di stringerlo e violarlo, strappare via quell'aria di purezza e santità, macchiandola e distruggendola con le proprie mani. Ed ora poteva fare esattamente ciò che aveva sempre voluto.
Allargò un sorrisetto, mentre lentamente inclinava la testa all'indietro, scoprendo il collo lungo. Le dita scivolarono lentamente sulla cicatrice, solleticandola gentilmente, prima di scendere ancora, stuzzicando la pelle del petto con movimenti concentrici. Dio sospirò, e sollevò di nuovo la testa per guardare The World, che lo stava osservando con attenzione.

"Sai The World, ci sono tante cose che devo ancora insegnarti. Abbiamo così tanto da imparare l'uno dell'altro..."

Soffiò, il sorriso che continuava a piegare le sue labbra. Le dita si spostarono fino a stringere uno dei suoi capezzoli, tirandolo piano, e Dio si inarcò appena lasciando un sospiro soddisfatto. L'idea di poter manovrare come voleva quel corpo era la cosa più eccitante cui potesse pensare. E il proprio stand, immobile davanti a lui che lo guardava, testimone di quella inevitabile unione... Tutto era semplicemente perfetto.

Entrambe le mani di Dio si spostarono sui propri capezzoli, le dita che li stringevano e torturavano con movimenti gentili e calcolati, strappandogli delicati sospiri. Era ancora difficile capire cosa potesse piacere di più a quel corpo che era così nuovo, ma era sicuro si sarebbe abituato in fretta. Gli occhi di The World erano puntati su di lui, e Dio riusciva a vedere nel suo corpo l'eccitazione che saliva, specchio di quella che lentamente stava cominciando a scorrere nel suo. Sorrise appena, e con una mano scivolò più in basso, le dita che disegnavano lentamente il contorno degli addominali e dell'ombelico, esplorando ogni curva di quella pelle che ora era solo sua.
Lentamente, elegantemente, Dio aprì le gambe nude davanti al proprio stand, scoprendosi a lui, rivelando il proprio membro già rigido che tremava appena, ogni volta che le dita stuzzicavano la sua pelle. Era passato così tanto tempo, da quando Dio aveva potuto fare qualcosa di simile. Tanti anni addormentato in fondo ad un oceano, tanti anni in cui il suo corpo non aveva potuto ricevere alcun tipo di soddisfazione. Doveva recuperare così tanto.

La sua mano scese a stringere il proprio membro, le dita grosse che si avvolgevano intorno alla sua lunghezza, i polpastrelli che premevano sulla pelle seguendo il percorso delle vene, alla ricerca dei punti più sensibili. Dio lasciò di nuovo andare la testa all'indietro, i capelli biondi che scivolavano sul cuscino sotto di lui, disordinati. Strinse meglio la presa, cominciando a toccarlo lentamente, lasciando che il piacere di quei gentili, lenti stimoli salisse lentamente lungo il suo corpo, facendo tremare un muscolo per volta. Era come scoprirsi di nuovo, conoscere quel nuovo corpo che era sempre stato suo ma che non aveva mai potuto stringere a sé.
Un cenno mentale, e The World si fece avanti, camminando con lentezza, l'espressione austera che lo contraddistingueva sempre stampata sul volto. Dio spostò lentamente la mano dal proprio petto, portandola dietro la testa per mettersi più comodo, mentre guardava il suo stando chinarsi su di lui.

Era una sensazione unica. Gli impulsi sensoriali che arrivavano da lui e da The World comunicavano e si intrecciavano tra loro, creando un'esperienza che Dio non avrebbe potuto in alcun modo descrivere. Lo stand si piegò su di lui e attaccò uno dei suoi capezzoli con le labbra ruvide, stringendolo e succhiandolo con forza, le mani possenti che artigliavano i suoi fianchi per tenerlo fermo. Dio lasciò un sospiro alto, inarcandosi verso il proprio stand, il petto che strofinava contro quello dell'altro. La sua mano si strinse meglio sul proprio membro, strappando un gemito basso ad entrambi mentre The World stringeva il suo capezzolo tra i denti, tirandolo con decisione. Le mani dello stand scesero con tocchi pesanti lungo il suo corpo, fino ad avvolgere con l'intero palmo di entrambe le mani intorno alle natiche di Dio, tirandolo meglio verso di sé. Il vampiro lasciò un ringhio basso, la mano libera che andava ad aggrapparsi alle spalle di The World per tenersi sollevato.

"Come siamo impazienti... Non posso darti torto, però. Questo corpo è così eccitante, vero?"

Miagolò Dio all'orecchio del proprio stand. The World ansimò pesante, uno specchio del respiro spezzato di Dio. Inclinò la testa di lato per affondare contro il collo del suo user e mordere con decisione la sua pelle. Dio buttò la testa all'indietro con un gemito strozzato, scoprendo totalmente il collo per lasciargli ogni spazio di manovra. Il corpo di The World, grosso e possente, era un'esatta copia di quel corpo che aveva strappato al suo originale proprietario, e finalmente, dopo tanti anni, Dio poteva sentire cosa si provava a venire bloccato su un letto da quella massa di muscoli come aveva sempre desiderato. The World lo spinse bene contro il materasso morbido, le mani ancora artigliate alle sue natiche, i denti che graffiavano con foga la pelle del suo collo. Ogni ferita si rimarginava immediatamente, lasciando dietro di sé solo una piccola goccia di sangue, prontamente raccolta dalla lingua calda di The World.
Era tutto ciò che Dio aveva sempre desiderato, e anche qualcosa in più. Poteva comandare a The World tutto ciò che voleva, e lo stand lo avrebbe accontentato con ogni suo respiro. Quel potere, quell'assoluto dominio su qualcuno era ciò che lo faceva eccitare così tanto, anche quando si trattava di un'emanazione di se stesso.

"Prendimi, The World."

Ordinò al suo orecchio, e The World, il suo servo più fedele e affidabile, non se lo fece ripetere due volte. Lasciò andare le sue natiche per farlo di nuovo poggiare sul letto, e spostò le mani sulle sue cosce, aprendole con un gesto secco, per potersi posizionare meglio contro di lui. Il membro pulsante dello stand, così simile a quello di Dio, si poggiò contro il ventre del vampiro, che allungò una mano per stringerlo con delicatezza, stuzzicandolo. La scossa di piacere riverberò da The World a lui nello stesso istante, strappando un gemito basso ad entrambi. Dio sentiva l'impazienza di entrambi incrociarsi e intrecciarsi, e non perse altro tempo. Si sollevò quel che bastava e spostò il membro di The World per poggiare la punta contro il proprio ingresso. Non gli interessavano olii, o preparazione. Era un vampiro, avrebbe resistito a qualsiasi cosa, e ciò che voleva davvero era sentire, sentire ogni centimetro di quel membro che aveva desiderato così a lungo aprirlo e farsi strada in lui, allargandolo centimetro dopo centimetro.
Appena The World si trovò in posizione, lo stand si spinse dentro di lui, la punta che si faceva strada nel suo condotto con lentezza ma senza mai fermarsi. Dio chiuse gli occhi, un gemito alto che faceva tremare la sua gola, mentre sentiva il suo intero corpo aprirsi intorno a al membro del suo stand. Quando lentamente The World riuscì ad entrare fino in fondo, non diede un secondo a Dio per abituarsi. Cominciò a muoversi in lui con forza, le spinte profonde e veloci che allargavano sempre id più il condotto. Ogni movimento lanciava ondate di piacere miste a scosse di dolore nel corpo del vampiro, che bloccavano ogni suo pensiero. Dio si lasciò totalmente andare, le mani che artigliavano la schiena di The World così forte da provocare graffi profondi sulla propria. Essere bloccati sotto quel corpo, piegati al suo totale volere e sapere allo stesso tempo che quella enorme, eccitante creatura avrebbe fatto ogni singola cosa Dio avesse voluto era la sensazione più inebriante che il vampiro avesse mai provato nella sua lunga vita.

The World continuò a muoversi con forza, senza rallentare e senza tirarsi indietro, finché l'orgasmo di Dio non colpì entrambi così forte da farli urlare, i denti di Dio che affondavano nel collo di The World, aprendo ferite profonde sul proprio, mentre la mano dello stand si muoveva ancora con forza sul suo membro, che doveva aver afferrato ad un certo punto senza che Dio se ne accorgesse consapevolmente.
Dio si lasciò cadere sul materasso, mentre The World rientrava in lui senza aggiungere altro. Il vampiro chiuse gli occhi, rimanendo fermo per qualche minuto, nel tentativo di riprendere fiato. Oh, gli piaceva parecchio questa novità degli stand. The World era l'alleato migliore che avrebbe mai potuto desiderare. Insieme, loro due avrebbero governato ogni cosa esattamente come era loro diritto.
E ancora una volta, Dio non avrebbe avuto bisogno di nient'altro che di se stesso.
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Fandom: JoJo's Bizzarre Adventures
Rating: Safe
Wordcount: 1427
Iniziativa: CowT 9

Star Platinum. Jotaro aveva sempre saputo il suo nome, fin da quando lo stand era comparso la prima volta. Nel profondo del cuore, conosceva la sua identità e conosceva la sua provenienza. Ma all'inizio era stato difficile ammetterlo. Era spaventato, ed era confuso, e come ogni volta reagiva allontanando o picchiando tutto ciò che lo metteva a disagio. A pensarci anni dopo, doveva essere sembrato davvero uno stupido.

Ricordava ancora quando il vecchio era andato a trovarlo e aveva portato con sé Abdul. Ricordava le loro spiegazioni. Ricordava le parole di Abdul sul fatto che il suo stand fosse legato all'arcano della Stella. All'epoca, Jotaro non sapeva cosa significasse, né aveva cercato di informarsi. Durante tutto il loro viaggio verso l'Egitto aveva semplicemente cercato di usare Star Platinum come un oggetto, una protesi che aumentava la forza e la velocità del suo corpo. Niente di più.
Ma Star Platinum non era solo. Star Platinum era parte di lui, una delle parti più profonde, una di quelle che avrebbe voluto ignorare, ma che doveva invece guardare in volto, e abbracciare, e accettare.

Era stato difficile. Ricordava bene quanto tempo era passato, prima di riuscirci. Una volta finito il periodo di crisi della battaglia contro DIO in cui avevano dovuto per forza collaborare per non morire, il loro rapporto si era deteriorato. Star Platinum cercava di avvicinarsi a suo modo, che era poi il modo che avrebbe usato anche Jotaro, e Jotaro invece spingeva lontano tutti, nessuno escluso. Era ancora ferito, ancora scottato da ciò che era successo. La rabbia era la sua compagna, ed era difficile riuscire a liberarsene.

Ricordava ancora come la sua rabbia l'aveva isolato da tutti, facendolo concentrare solo ed esclusivamente sulla scuola. Per anni non aveva fatto altro, aveva persino deciso di andare all'università, nella continua ricerca di qualcosa da fare, qualcosa che non lo facesse sentire perennemente impotente.
Ricordava anche il modo in cui cercava sempre di cacciare Star nelle profondità del proprio essere, cercava di tenerlo così lontano da dimenticarsi la sua esistenza, annaspando sempre id più alla ricerca di ogni appiglio a quella normalità che desiderava così tanto.


Poi, un giorno, aveva deciso di mettere da parte le differenze, provare a cercare un contatto. Aveva fatto uscire Star e aveva teso la mano, cercando di toccare le sue dita. Star l'aveva guardato in silenzio, aveva teso la mano verso di lui. Sentiva il tocco di Star sulle dita, eppure la sua mano passava attraverso il suo corpo, come farebbe con un ologramma. Ma a Jotaro non importava. Riusciva a percepire la sua mano, percepiva tutto il suo corpo e la sua essenza. Percepiva la sua esistenza, concreta e viva e presene come non era mai stata prima di quel momento. Star non si muoveva, piegava e distendeva le dita in movimenti lenti, simili a quelli che compiva Jotaro. Era come guardarsi allo specchio e vedere la propria anima lì, in piedi di fianco a sé. Jotaro aveva negato quella sensazione per anni, ma la semplicità di ciò che li univa era così trasparente, così onesta, che era impossibile da ignorare.

Era stato come un battesimo. Come un risveglio in una nuova vita. Non perché Jotaro fosse cambiato, ma perché aveva finalmente guardato in faccia se stesso. Sul volto di Star Platinum vedeva lo stesso dolore che sentiva lui. Vedeva la paura, vedeva la rabbia. Vedeva il senso di colpa. Vedeva tutte quelle emozioni che lui cercava di soffocare ogni giorno, nitide e vive davanti a lui. Aveva cercato di scappare per molto tempo, ma era così ovvio e semplice da capire, che non avrebbe potuto continuare ancora a lungo. Non poteva scappare da se stesso. Poteva odiarsi, poteva arrabbiarsi, poteva odiarsi, ma non poteva scappare.
E guardando Star Platinum nei suoi occhi così profondi, per un solo secondo, Jotaro pensò finalmente che forse, solo forse, avrebbe potuto imparare ad amare quella parte così profonda e complicata di sé.

Quella sera era stata la prima volta in cui aveva provato a cercare su qualche vecchio libro il significato della Stella nei tarocchi. Avevano combattuto contro stand che rappresentavano gli arcani per metà del loro viaggio ai tempi dell'Egitto, ma non si era mai interessato realmente al loro significato. Abdul era l'esperto, e lui non aveva bisogno di sapere da cosa derivassero i loro stand per poterli picchiare meglio.
Ora, invece, voleva saperne di più. Certo, era facile capire perché il destino avesse scelto per lui la stella, ma era sicuro ci fosse qualcos'altro. Aprì il libro che aveva trovato, scorrendo lentamente lungo le pagine alla ricerca di quella giusta. Star Platinum guardava da sopra di lui, curiosando le pagine insieme a lui e borbottando ogni volta che Jotaro non trovava quella giusta. Quando finalmente la trovò, Jotaro si piegò appena sul libro per leggere meglio, assorto.

A quanto pareva, Jotaro doveva essere una persona risoluta e piena di speranze, secondo la sua carta. La cosa all'inizio gli era parsa parecchio ironica, visto tutto ciò che aveva passato. Ma anche se non si riconosceva in quelle descrizioni, si sentiva più vicino a se stesso e a Star Platinum, riusciva a capire meglio il suo posto nel mondo e il significato di ciò che era stato il suo destino.

Era cresciuto molto, da allora. Non aveva più usato i poteri di Star Platinum se non in rarissime occasioni, e non aveva mai più usato la sua abilità di fermare il tempo, non avendone alcun bisogno, ma nonostante ciò passava molto più tempo a contatto con il proprio stand. Aveva imparato ad accoglierlo, comunicare con lui, scambiare idee. Rileggeva ad alta voce i suoi articoli accademici per poi cercare la conferma di Star riguardo alla forma. Riguardava insieme a lui le foto dei suoi avvistamenti per cercare di capire se aveva davvero visto bene. Forse non sarebbe mai riuscito ad entrare in risonanza con lui in quel modo naturale e perfettamente coordinato che aveva visto in Kakyoin o Polnareff, ma non gli importava. Avevano trovato il loro linguaggio, il loro modo di comprendersi e supportarsi a vicenda, e quello bastava.

Proprio quel giorno, Jotaro aveva ricevuto segnali preoccupanti dal trasmettitore che aveva lasciato a Jolyne. Sembrava che sua figlia fosse in pericolo. Si era attivato immediatamente per contattare la fondazione Speedwagon e capire cosa stesse succedendo, e subito erano riusciti ad aggiornarlo sulla vita di sua figlia. A quanto pareva era stata arrestata per un crimine che non aveva commesso, incastrata da poteri più grandi di lei che cercavano di vendicarsi sulla ragazza per arrivare a Jotaro.
Mentre preparava le valigie per partire, Jotaro voltò la testa verso Star Platinum. Lo stand, che era uscito senza che lui se ne accorgesse, stava camminando avanti e indietro per la stanza, con l'aria di chi ha tutta la voglia di mettere le mani addosso a qualcuno. Jotaro lo capiva perfettamente, in fondo era esattamente il modo in cui si sentiva lui. Qualcuno aveva intenzione di minacciare la vita di sua figlia nel tentativo di arrivare a lui, qualcuno aveva pensato fosse una buona idea mettere in mezzo una persona che non c'entrava nulla in una battaglia che non doveva riguardarle.
Jotaro avrebbe trovato quel qualcuno, e gli avrebbe fatto pentire di essere nato. Gli avrebbe messo davanti ogni singolo errore commesso nella sua vita e lo avrebbe fatto piangere in ginocchio, pregando e invocando la sua pietà. Quella che Jotaro non avrebbe avuto, come non l'aveva mai avuta prima.

Si voltò a guardare Star Platinum, che si stava aggiustando i guanti che gli avvolgevano le mani. Jotaro aveva preso da poco un nuovo completo, decidendo di cambiare dagli abiti bianchi che indossava di solito, e Star aveva immediatamente aggiustato il proprio look al suo. Sembrava piacergli, l'idea di avere un aspetto simile. Se bastava così poco per renderlo felice, Jotaro era ben contento di assecondarlo.

"Sarà ora di andare, Star. È da un po' che non meniamo le mani, uh?"

Chiese distrattamente, mentre appoggiava tutto ciò che gli serviva vicino alla porta, pronto ad uscire. Non parlava quasi mai ad alta voce con lui davanti a terzi, per ovvi motivi, ma comunicare quando erano da soli era una cosa che gli faceva piacere ogni tanto.
Star Platinum allargò un sorrisetto che probabilmente sarebbe risultato inquietante a... Quasi tutti. Jotaro, invece, era contento di sapere che lo stand condivideva le sue stesse emozioni.
Allungò una mano, e Star la prese con le sue dita eteree, per poi risalire lungo il suo braccio e rientrare nel suo corpo. Jotaro sorrise. Era bello non essere mai da soli.

"Andiamo, allora."
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Fandom: Les Miserables
Rating: Safe
Wordcount: 600
Iniziativa: CowT 9

Grantaire era sicuro che avrebbe dovuto abituarcisi, prima o poi. Avrebbe dovuto abituarsi a vedere Enjolras saltare sul tavolo e cominciare uno dei suoi famosi monologhi. Alle risate basse delle persone che lo circondavano, che venivano puntualmente ignorate dal ragazzo. Enjolras era una forza della natura che nessuno poteva fermare, ormai tutti nel quartiere conoscevano la sua giacca rossa, tutti sapevano che quando la sua voce tuonava in uno dei locali di zona non c'era modo per fermarlo finché non fosse riuscito a convincere tutte le persone presenti. E la cosa peggiore, era che ci riusciva sempre. Le persone ridevano di lui, poi si fermavano ad ascoltarlo, e ben presto il ragazzo le aveva conquistate con la sua passione e la forza dei suoi ideali.

Grantaire aveva visto quella stessa scena innumerevoli volte. Eppure, ancora non riusciva a crederci. Ogni volta che Enjolras cominciava a parlare, era il primo a cadere ai suoi piedi e pendere dalle sue labbra. Aveva sentito mille volte quelle stesse frasi, ma il fuoco nei suoi occhi era qualcosa a cui non ci si poteva abituare.
Grantaire avrebbe dovuto. Ma in fondo, non era di certo nel suo curriculum essere la persona che fa ciò che ci si aspetta. Deludere le aspettative altrui era il suo secondo lavoro (il primo, in compenso, l'aveva perso da tempo ormai).

Anche quel giorno, Enjolras aveva iniziato uno dei suoi discorsi. Un sorriso increspava le sue labbra mentre parlava di come sarebbero insorti, di come avrebbero combattuto per la libertà. I suoi occhi erano puntati davanti a sé, ma sembravano proiettati in un tempo e un luogo diverso, direttamente sul campo dove avrebbero combattuto per i loro ideali.
E Grantaire, Grantaire era perso in un altro mondo insieme a lui. Un tempo quei discorsi non gli appartenevano, ancora adesso non era sicuro di capirli appieno. Non vedeva le scene chiare e nitide nella sua mente come faceva Enjolras. Ciò che vedeva, però, era rosso. Il rosso che era passione ed era violenza ed era sangue ma era anche libertà. Il rosso che ormai venerava come una divinità. Enjolras era un'onda rossa che inondava tutto, e in quei momenti Grantaire non poteva fare altro che credere fermamente in ogni sua parola, ogni sillaba che lasciasse le sue labbra.

Ogni tanto, pensava a Marius e al modo in cui lui paragonava il rosso al desiderio che sentiva per Cosette. Grantaire non poteva dargli torto. Anche per lui, il rosso era desiderio, volontà di avere ciò che era davanti a lui, così vicino eppure così lontano.
Guardava Enjolras parlare, ed ogni tanto abbandonava le immagini così nitide dei sogni del giovane per fare un passo indietro e guardarlo, ammirarlo nella sua forza e nel suo orgoglio. Enjolras era bello, era splendente. Era affascinante. Grantaire guardava le sue labbra muoversi mentre parlava, guardava le sue braccia agitarsi. La forza che trasmetteva era così tanta, e Grantaire aveva immaginato fin troppo volte come Enjolras avrebbe potuto mettere a frutto quella forza in modi molto più interessanti per entrambi, ma non avrebbe mai potuto parlarne con lui.
Quella missione, quella sua passione per la libertà, era più importante dei suoi stupidi desideri. E poi, cosa avrebbe potuto avere da spartire uno come Enjolras?

In fondo, comunque, non gli importava. Il desiderio, la passione, o i grandi ideali. Erano tutte cose che sbiadivano, davanti alla semplice verità. Grantaire guardava quel ragazzo istigare le folle, e sapeva che avrebbe dato la vita per lui. Non per la libertà, non per i desideri romantici di Marius. Solo per lui. L'unico motivo per cui amava così tanto il rosso, era perché lo ama Enjolras. Così come Grantaire amava lui.
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Fandom: Hamilton
Rating: Safe
Wordcount: 1637
Iniziativa: CowT 9

« Quindi devo fare così? Sembra un poco difficile come cos--- ahia »

John fece un salto all'indietro, portandosi l'indice alle labbra e lamentandosi a bassa voce. Lafayette, che lo stava guardando armeggiare con il mazzo di rose appena arrivato con aria fin troppo divertita, scoppiò a ridere.

« Non, mon cher. Direi che quello è decisamente un metodo poco funzionale. A meno che tu non voglia continuare a rendere le tue dita un puntaspilli. »

John alzò la testa su di lui, il labbro inferiore che sporgeva in un'espressione parecchio offesa. Lafayette sapeva che avrebbe dovuto pentirsi per averlo preso in giro, ma John sembrava solo più carino così, il che non aiutava la sua causa.

« La vuoi smettere di ridere e dirmi cosa devo fare?! »

Sbuffò John, mettendo le mani sui fianchi e guardando Lafayette con la fronte aggrottata. Il francese dovette concentrarsi parecchio per riuscire a smettere di ridere e tornare a fare il bravo insegnante. Probabilmente era quello il motivo fondamentale per cui non avrebbe mai potuto fare il professore...

Si avvicinò al tavolo da lavoro e prese delicatamente il mazzo di fiori che John aveva lasciato cadere sparso per tutto il tavolo, riordinando tute le rose e sistemandole al loro posto.

« Prima di tutto, visto che rischi di farti male perché non sai ancora cosa fare dovresti indossare dei guanti. Ce ne sono delle paia nel mobiletto, prendili pure. E poi, devi sempre stare attento a non farti pungere dalle spine, e se succede dovresti subito disinfettarti. A proposito, fallo. »

Gli ordinò senza guardarlo, mentre sistemava con attenzione i gambi dei fiori. John annuì e corse all'armadietto, prendendo guanti e disinfettante e passandone un po' su un pezzo di cotone per avvolgerlo intorno al dito. Sembrava aver smesso di lamentarsi, almeno per ora. Per fortuna, il suo rancore durava sempre molto meno di quello di Alexander, ad esempio, che era in grado di tenergli il broncio per una cosa simile per settimane. Lavorare con John era un dono del cielo, a confronto. La sola idea lo faceva tremare.
Una volta finito di sistemare le rose, Lafayette lasciò il mazzo ben composto da parte, e si dedicò invece ad alcune piantine che aveva messo su uno scaffale poco lontano. John alzò la testa con aria curiosa, e si avvicinò per vedere di cosa si trattava.

« Hey Laf, quelle sono piantine vero, non fiori? »

Lafayette annuì tranquillo, prendendone due e poggiandole sul banco di lavoro.

« Devo travasarle in modo che crescano meglio, e poi devo consegnarle. Ma solo quando saranno abbastanza grandi e abbastanza belle. »

Spiegò con tono assorto, concentrato nella scelta del vaso adatto per entrambe le piante. Tirò fuori due vasi più grossi, e ci versò dentro del terriccio aggiuntivo. John rimaneva dietro di lui con aria curiosa, osservando tutto ciò che faceva mentre si teneva il dito coperto dal cotone. Lafayette era abbastanza sicuro che quella ferita non l'avesse menomato e che ormai non gli facesse più male, ma se era cosi curioso di vedere come trattare le piccole piante oltre che i fiori, tanto valeva che stesse a guardare. In fondo, il pomeriggio era iniziato da poco ma in negozio non si era ancora visto nessuno, e se Lafayette aveva imparato qualcosa del proprio lavoro era che ben poche persone avevano voglia di comprare mazzi di fiori il lunedì. Quindi, tanto valeva mostrare a John qualcos'altro che gli sarebbe stato comodo, prima o poi.

Lentamente estrasse la prima pianta dal suo vaso, attento a non rovinare le radici, e con gesti delicati e gentili la posò nel vaso nuovo, dove stava decisamente più comoda. Avvolse con attenzione tutte le radici col terriccio nuovo, per poi compattarlo bene e decorarlo con qualche pietra bianca. Aggiunse altre decorazioni sul terriccio e tra alcuni dei piccoli rametti, attento a non dare troppo fastidio alla pianta.

« Wow, è bellissimo a vedersi e sembra super difficile da fare, invece ci va poco. »

Lafayette si voltò a guardarlo, facendogli l'occhiolino.

« Perché ci vuole esperienza, mon cher. Non pensare che la mia rinomata capacità in camera da letto sia la mia unica dote. »

John rise a bassa voce.

« Strano, pensavo che di quella avessi imparato tutto grazie ai corsi accelerati di Thomas e Alex. »



Lafayette si voltò di scatto, guardandolo con aria platealmente offesa.

« Ritira subito quello che hai detto. »

John allargò un sorrisino, per poi fargli una linguaccia decisamente non richiesta e poco elegante. Stupidi americani.
Lafayette lo guardò assottigliando gli occhi, pronto a vendicarsi rovesciandogli in testa tutta la busta di terra che stava usando per riempire i vasi. C'erano ancora un paio di kili di terriccio dentro, magari bastava per innaffiargli tutta la testa...

« Guarda che ti licenzio. Anzi, peggio, ti faccio riordinare gli ordini di rose tutti. I. Giorni. »

La voce minacciosa di Lafayette sembrava anche tremendamente seria, e John decise che non aveva alcuna intenzione di scoprire se diceva davvero oppure no. Conoscendo il francese, la risposta era fin troppo ovvia.

« Okay! Okay! Mi arrendo! Sono sicuro che tu sia molto più bravo a letto di quei due messi insieme! »

Ritrattò subito l'americano, alzando le mani in segno di resa. Lafayette sembrò pensarci su qualche secondo, cercando di capire quanto sincere fossero le sue scuse. Forse, per una volta, poteva anche perdonarlo.

« Questo, amico mio, è estremamente vero. Ma visto che sei tu, potrei insegnarti qualcosa una volta o l'altra. »

L'occhiolino di Lafayette fu il colpo finale. Uno a zero per il francese. Palla al centro. John arrossì violentemente e gli tirò dietro il paio di guanti. che aveva ancora in mano.
Lafayette rise, trionfante, per poi tornare alle sue piante. Le guardava da vicino, esaminando ogni foglia e cercando di posizionarle nel posto migliore. Aveva cambiato le decorazioni della prima pianta tre volte nel giro di due minuti, e John cominciava a chiedersi se stesse cominciando a dimostrare sintomi di una possibile schizofrenia non diagnosticata.

« Uh... Laf? Hai già rigirato quelle due povere piante almeno cinquanta volte l'una. Cos'è che non ti convince? »

« Non lo so. Sono belle. »

John dovette sforzarsi parecchio per non roteare gli occhi.

« Se sono belle, allora perché continui a cambiare le cose?! »

Lafayette si girò di scatto verso di lui, guardandolo serissimo.

« Ho ordinato queste piantine apposta per George e Herc. Una è più profumata fa fiori piccolini, così rallegrerà lo studio di Herc mentre disegna senza dargli troppo fastidio per le luci e simili. »

« Laf, le piante non danno fastidio ai colori dei disegni... »

Lo interruppe John. Lafayette agitò appena la mano, ignorando totalmente le sue parole per continuare la sua spiegazione.

« La seconda ha dei fiori un po' più grossi e colorati ma è meno profumata, così non darà fastidio a George in ufficio ma glielo colorerà un po'. »

John avrebbe voluto fargli notare che allora tutta la storia precedente sul fatto di prendere piante e non fiori non aveva molto senso, visto che aveva scelto sempre in relazione a quelli, ma era abbastanza sicuro che non fosse quello che era il momento di dire. Invece, allargò un sorriso tranquillo. Lafayette si sforzava sempre tantissimo per fare regali a quelle che definiva le due persone più importanti della sua vita dopo il fratello gemello Thomas, e contando quanto il francese si divertiva sempre a riempire di regali le persone, soprattutto se si trattava dei pensieri floreali che tanto amava, immaginava che fosse normale vederlo così indaffarato per rendere un regalo perfetto. Alexander gli aveva accennato, un paio di volte, che l'ufficio di Washington a lavoro era sempre parecchio grigio e formale, ma poi era arrivato Lafayette e aveva cominciato a riempirlo di fiori ovunque. Per quanto riguardava Hercules, invece, portava sempre piccoli fiorellini appuntati al petto o tra i capelli, regalini che probabilmente il francese gli faceva avere durante la giornata.

« È una cosa molto dolce. Sono sicuro che saranno contentissimi. Ma... Se continui a cambiare le cose, non saranno mai pronti. »

« Lo sooooo! »

Si lamentò Lafayette, sbuffando pesantemente. Guardò ancora le piante per qualche secondo con aria pensosa, e poi, dal nulla, fecce un piccolo saltino sul posto. John si prese uno spavento e rischiò di schiantarsi contro il mobile e far cadere qualcosa.

« Ma certo! John, sarai tu a decorarli. »

John strabuzzò gli occhi.

« .... Io? Cosa?!»

Lafayette annuì, convinto.

« Sì. Tu. Forza, mettiti al lavoro, non c'è molto tempo. »

Senza aggiungere altro, Lafayette mollò il sacco di terra a John e si tolse il grembiule da lavoro, tornando a passo tranquillo verso la parte di fronte del loro amato negozio di fiori.
John rimase a guardare la porta chiudersi, sbattendo un poco gli occhi, incredulo. Sospirò, per poi scuotere piano la testa e guardare con aria critica le due piante che aveva davanti. Era bello che Lafayette si fidasse così tanto di lui, ma come diavolo doveva fare?! Era poco che lavorava con lui, solo qualche mese. Aveva lavorato per anni come barista, ma poi aveva avuto problemi con alcuni colleghi, e Lafayette l'aveva preso nel suo piccolo ma ben avviato negozio. Gli era molto grato, ovviamente, ma come diavolo poteva fare a creare cose belle ed eleganti come quelle del francese?! Lafayette era un mago dell'estetica, lo era sempre stato.

John, però, non voleva essere da meno. Prese un bel respiro, per poi posare la terra di lato e concentrarsi sulla prima pianta. Se Laf voleva un bel lavoro fatto da lui, così sarebbe stato. In fondo, difficilmente il francese si sbagliava sul conto di qualcuno.
E poi, a John piacevano i fiori. Ma soprattutto, John Laurens non si sarebbe mai tirato indietro da una sfida.

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